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Tra i colori di Buddleja, Hibiscus e Malvacee: Francesca Moscatelli racconta la sua innata passione per le piante

Tra i colori di Buddleja, Hibiscus e Malvacee: Francesca Moscatelli racconta la sua innata passione per le piante

Attraverso questa piacevolissima intervista vi faremo conoscere Francesca Moscatelli, grande appassionata di piante sin da bambina. Oggi gestisce un vivaio di Pistoia, Donna di Piante, il cui fiore all’occhiello è la splendida collezione del genere Buddleja. Tra aneddoti del passato e pronostici futuri, scopriamo insieme questa grande specialista del verde! 

 

Cosa l'ha spinta a diventare vivaista? Era il suo sogno nel cassetto sin da bambino?

Sembra una frase retorica, ma la passione per fiori e piante ce l’ho sin da piccola. In realtà da piccola (4-5 anni) avrei voluto fare la fioraia. Mi piaceva moltissimo il chiosco dei fiori dove andavo con mia madre. Il concetto di vivaio non era ancora alla mia portata, tanto più che nella mia città natale (Pesaro) non c’erano ancora garden Center o strutture di questo genere. Negli anni successivi questa passione è cresciuta, spingendomi a scegliere una formazione scolastica (Istituto Agrario e poi Laurea in Scienze Forestali) e successivamente professionale interamente rivolta alle piante, lavorando a vari livelli in strutture vivaistiche diverse, da vivai destinati alla vendita al pubblico fino a quelli rivolti ai professionisti del settore, italiano ed estero. Donna di Piante, che dirigo attualmente, si rivolge ad entrambi i mondi, riunendo l’esperienza acquisita in precedenza.

Come e quando è nata in lei la passione per questo specifico genere di piante?

Sono molto legata all’ambiente rurale e al giardino, passione trasmessa dai miei genitori, che pur non essendo agricoltori o vivaisti di professione si sono sempre dedicati al giardinaggio e all’agricoltura amatoriale nel tempo libero. Probabilmente la svolta è avvenuta con la scelta di frequentare l’istituto tecnico agrario alle superiori. A metà degli anni 80 non era ancora tanto di moda e costituiva una scelta fuori dalle righe e poco consigliata, specie per una donna, dato che era un mondo prettamente maschile. In effetti eravamo pochissime donne, e la maggior parte di noi erano lì non perché provenienti da famiglie con aziende agricole, quanto, come me, per scelta personale. Sono stati in diversi, fra parenti, professori e amici a tentare di dissuadermi dalla scelta, di cui peraltro, non mi sono mai pentita.

 

Qual è il fiore all'occhiello del suo vivaio o della sua azienda? Come si caratterizza la vostra produzione?

Il vivaio Donna di Piante, come la maggior parte dei vivai pistoiesi, produce tutta la gamma di alberi e arbusti ornamentali da giardino, dalle conifere dei climi nordici alle specie mediterranee e subtropicali. L’azienda è tuttavia orientato in modo particolare verso la produzione e ricerca di queste ultime due categorie, favorito dal fatto che abbiamo un vivaio di produzione in Spagna, nella zona di Elche-Alicante.

Il fiore all’occhiello di Donna di Piante tuttavia è la collezione del genere Buddleja, avviata qualche anno fa e che comprende un numero abbastanza consistente di varietà e specie botaniche, in costante aumento. Oltre alle Buddleja davidii di ultima generazione infatti, a portamento contenuto e seme sterili, incapace quindi di dar luogo a infestazioni, sto coltivando anche specie botaniche, alcune delle quali, come la B. madagascariensis, la B. saligna, sono particolarmente interessanti per l’ambiente mediterraneo, data la loro elevata resistenza alla siccità e con fioritura invernale. Altre invece, come la Buddleja lindleyana o la B colvilei possono essere inserite all’interno di siepi miste, fiorite per un periodo piuttosto lungo.

Oltre a questo mi sto interessando alla famiglia delle Malvacee, molto ampia, a partire dal genere Hibiscus rustici e non, ma anche Fremontodendron, Lavatera, Abutilon, Pavonia, oltre a vari arbusti di climi simil-mediterranei, interessanti da introdurre anche in considerazione dei cambiamenti climatici a cui stiamo assistendo.

Come si vede tra 10 anni?

Con le mani sempre un po’ sporche di terra, a trafficare fra le piante, e in viaggio fra manifestazioni, fiere e vivai italiani ed esteri, paesaggi e ambienti, a cercare novità da sperimentare che, nel nostro mondo, non mancano mai. La ricerca botanica è l’aspetto che più mi affascina nel mio lavoro. Spero anche di avere un po’ più di spazio da dedicare alla lettura e allo studio, che al momento è un po’ trascurato per mancanza di tempo.

Ricorda il suo primo “incontro” con il giardinaggio? Provi a raccontarcelo.

Ho una foto, all’età di 5 anni, che mi ritrae con le mani immerse in un cespo di petunie a righe bianche e rosse, che fa molto anni ’70. Probabilmente stavo aiutando mia madre a piantare le stagionali. Un po’ dappertutto in giardino si erano spontaneizzate le Belle di Notte (Mirabilis jalapa) che mi piacevano molto. Raccoglievo i semi, simili al pepe, per giocare a cucinare, come se fosse effettivamente questa spezia. Mi divertivo anche a spargerli in terra, sapevo che l’anno dopo sarebbero rinati. Forse questa è stata la mia prima esperienza “vivaistica” anche se inconscia. Ricordo mio nonno che coltivava l’orto, i miei genitori che si dedicavano al giardino attorno a casa la domenica, non enorme, ma neppure piccolissimo. Casa mia sorgeva un po’ isolata, alla periferia sud di Pesaro, in una zona ancora ai limiti con la campagna. Per me la presenza di fiori e piante intorno a casa era una cosa normale, così come l’uso di attrezzi come la vanga, la zappa, il rastrello. Solo successivamente mi sono resa conto che non era per tutti così. Durante i primi anni dell’Istituto Agrario ho incontrato coetanei che non distinguevano una vanga da una zappa e per me è stato un po’ sorprendente…

Quanto sono cambiati il vivaismo e il giardinaggio negli anni rispetto a quando l'ha conosciuto lei?

Ho “scoperto” il vivaismo su grande scala ai tempi dell’Università, quando mi sono trasferita a Firenze. Non ho un’idea precisa di cosa fosse prima, fino a quando non ho cominciato a lavorarci direttamente, nel 2002. A Pesaro il top era qualche vivaio un po’ più grande, che di solito aveva una parte dedicata alla vendita al pubblico (una serra coperta con le solite piante d’appartamento e le stagionali) mentre la parte di alberi, arbusti ed erbacee perenni non era quasi rappresentata, oltre che sconosciuta. In Toscana ho trovato una situazione molto diversa. Da un lato vivai medio-grandi rivolti ad un pubblico privato, come il Vivaio Guido degl’Innocenti, dove ho avuto la fortuna di cominciare lavorare e farmi le ossa, dall’altro vivai che operavano su scala molto più ampia, esclusivamente rivolta ad un pubblico professionale, come quelli di Pistoia, nel quali ho lavorato successivamente e lavoro tuttora. I primi si dedicavano a far conoscere al pubblico privato il mondo delle piante, del collezionismo e del giardino attraverso il contatto diretto, le riviste specializzate, le prime mostre mercato italiane, come Orticola e Masino, sulla scia del Chelsea Flower Show inglese o Courson in Francia. Le aziende pistoiesi erano invece dedite alla rapida espansione e alla conquista di mercati nuovi in Europa e al di fuori di essa, complice anche una buona congiuntura economica. Spesso non c’era grande comunicazione fra i due livelli, se non per eventuali forniture delle aziende grandi verso le piccole: collezionismo da un lato e produzione industriale dall’altra. Oggi si sta assistendo alla lenta compenetrazione fra i due mondi. In particolare la grande azienda vivaistica, che sempre ha un po’ “snobbato” il pubblico privato, comincia ad essere presente anche, ad esempio, nelle manifestazioni dedicate al “vivaismo specializzato”, magari non attraverso la vendita diretta, ma con sponsorizzazione o realizzazione di giardini espositivi, allestimento di stand dimostrativi in collaborazione con paesaggisti. Complici di questi sviluppi sono stati sicuramente la crisi economica, che ha obbligato alla ricerca di ogni possibile nicchia di mercato, ma anche il crescente interesse verso il verde e le piante che sempre più viene percepito come un bisogno del nuovo millennio da parte della società. Non credo tuttavia che la grande azienda possa finire con il fagocitare del tutto la piccola realtà: il pubblico non professionale necessita di essere seguito con attenzione anche per piccoli consigli, cosa che la grande realtà produttiva non può logisticamente permettersi di fare, a meno che non scelga di organizzare una parte delle sue strutture in questo senso. Se da un lato quindi la grande azienda ha dei mezzi di divulgazione e commercializzazione di massa molto più efficaci di una piccola realtà, sarà sempre quest’ultima a fare da intermediaria fra il pubblico privato e la produzione massiva di piante, perché è da sempre stata strutturata per questo tipo di mercato. Quello che auspico nel futuro non è un “grande che mangia il piccolo” quanto una collaborazione sempre più stretta fra i due livelli, fra loro strettamente dipendenti. Senza una distribuzione capillare sul territorio di piccole realtà vivaistiche, le piante non potrebbero arrivare dappertutto, in Italia come nel mondo.

Pensa che la tecnologia può fornire al giardinaggio e al verde un buon trampolino di crescita per le nuove generazioni? Nell'era del web e dello smartphone quali sono oggi gli strumenti che utilizza per approfondire la conoscenza e lo studio delle varietà e per avere informazioni certe?

Internet e la tecnologia favoriscono la divulgazione di informazioni a livello planetario. Cercare una pianta non è più così difficile; oggi, tanto per il professionista quanto per l’amatore, è sufficiente digitare una o due parole chiave per avere una prima informazione, almeno circa la reperibilità di un prodotto. Questo non significa che la tecnologia ci fornisca tutte le informazioni del caso. Un conto è sapere dove trovare qualcosa, un conto è valutare, fra le varie offerte, la qualità di quello che ci viene proposto. Per far questo occorre avere il contatto diretto, attraverso lo scambio (anche solo telefonico) con i vivaisti per capire chi è dietro lo schermo, la visita ai luoghi di produzione (cosa che cerco di fare il più possibile prima di affidarmi ad un fornitore), la qualità delle piante che vengono vendute, anche attraverso i canali telematici, spesso comodissimi, la qualità del servizio di spedizione, oltre che l’assistenza pre e post vendita, sia pur a distanza. Inoltre l’esperienza in campo resta sempre e comunque fondamentale.

C'è un libro o un volume di giardinaggio a cui è particolarmente affezionata?

L’Enciclopedia dei Fiori e del Giardino, di Ippolito Pizzetti, piccolo libro piacevolissimo con notizie botaniche, colturali, storiche e personali dell’autore riguardo a tantissime specie in coltivazione.

Qual è il libro che si sente di consigliare ad un ragazzo che vuole approcciarsi per la prima volta allo studio del verde?

A-Z Enciclopedia of Garden Plants della Royal Horticoltural Society, compendio completo e in costante aggiornamento delle piante da giardino.

Qual è il primo consiglio che si sente di dare a chi si vuole cimentare nella coltivazione di queste piante?

E’ un lavoro che ha a che fare con esseri viventi, che come tali mangiano e bevono anche nei week-end o durante le ferie. Richiede tempo, abnegazione, passione e curiosità.. e non lascia molto tempo libero… pur essendo ricco di soddisfazioni (se ti piace davvero).

Qual è la varietà di pianta che preferisce e perchè?

Ovviamente le Buddleja, per il fascino da fiori di campo, i colori vivaci, la facilità di riuscita anche per i meno esperti, dal momento che non chiedono niente alla vita se non sole e un minimo di cure. E poi le piante di macchia mediterranea, in particolare il Corbezzolo, la Roverella e il Pino d’Aleppo. Piante contorte, dalle forme scultoree, che vivono anche sulle rocce, ma che si adattano a tutto e sopravvivono.

Ci sono stati momenti difficili nel corso della sua carriera professionale, in cui ha pensato di abbandonare il vivaismo?

Ci sono sempre momenti più difficili di altri, in qualunque professione credo. Ho meditato e maturato a lungo sui cambi di azienda, così come sulla creazione di Donna di Piante, che rappresenta la mia ultima sfida. Ma in nessuno di questi momenti ho pensato di abbandonare la mia strada. Gli unici momenti di crisi che mi hanno fatto quasi rinunciare al percorso intrapreso sono stati durante il corso di studi: il primo di fronte all’esame di analisi e fisica all’università, di cui non capivo (e tuttora mi sono ostici) assolutamente niente, e il secondo nel corso del Dottorato di Ricerca, non per lo studio in sé, che mi è sempre piaciuto, quanto per l’ambiente interno ai dipartimenti universitari in cui sono stata, fatti di baroni e nepotismo, che nulla hanno a che vedere con la ricerca. Stavo quasi per rinunciare, anche se poi, alla fine, l’ho portato in fondo. Da lì sono passata direttamente al vivaio!

Ha dei figli? Lavorano con lei nel settore del vivaismo oppure hanno seguito altre strade? Se ne dispiace?

Non ho figli, ma, se ne avessi, non credo che mi dispiacerebbe se scegliessero altre strade. Io ho fatto le mie scelte e per questo mi considero una donna fortunata e appagata. E’ una libertà che non va negata a nessuno, soprattutto ai propri figli.

Come considera il vivaismo europeo di oggi? Conosce o ammira delle realtà vivaistiche estere?

In Europa ci sono poli e realtà vivaistiche importanti. Pistoia, mi rincresce dirlo, pur essendo sempre un’eccellenza, ha perso il primato di principale polo vivaistico europeo, non solo a causa della crisi economica che ha contratto molto le superfici produttive, ma soprattutto a causa di un forte individualismo e di una scarsa propensione alla cooperazione che la penalizzano fortemente. A fronte di una buona qualità di prodotto, siamo carenti in logistica e servizi, che ci permette di farlo arrivare a destinazione con tempi e costi adeguati. Cosa, ad esempio, che non si è verificata in Olanda. Di recente un collega vivaista di Booskop, mi ha detto che la crisi del settore ha determinato la chiusura di molte aziende nel comparto vivaistico olandese, ma quelle rimaste in piedi continuano a produrre con la qualità di sempre, avvalendosi, per la distribuzione, di una organizzazione logistica frutto della collaborazione dei vari distretti vivaistici presenti, il cui obiettivo è garantire la consegna efficiente delle piante ovunque. Oggi, fermo restando che la qualità delle piante debba essere ineccepibile, il servizio gioca un ruolo fondamentale. E sono sempre di più i vivai europei ed extra-europei che si avvalgono di relazioni commerciali con tutto il mondo per introdurre specie nuove. Ho visitato lo scorso anno un grosso vivaio in Andalusia che importa da anni da Argentina e Costa Rica, e uno quest’anno nel Nord del Libano che importa da Cina, Thailandia, Florida, oltre che da mezza Europa. In Italia l’importazione e l’esportazione da e verso paesi extra UE sono sempre molto complicate, spesso per ragioni burocratiche e legislative più che tecniche e questo ci penalizza moltissimo. .

Se non fosse vivaista o botanico o agronomo, quale potrebbe essere il mestiere che le piacerebbe praticare?

Sarei probabilmente un ricercatore, o anche un libraio di libri antichi o un bibliotecario. Mi affascina moltissimo il tema della ricerca, così come il mondo degli archivi, delle biblioteche e dei libri. Una grossa carenza che avverto è la mancanza di una solida cultura umanistica, dovuta ovviamente al mio percorso formativo, di impronta tecnico-scientifica. Spero di avere comunque il tempo e il modo di colmarla!

Ha scritto pubblicazioni di settore? Se sì, quali?

Collaboro da oltre 10 anni con la rivista Vita in Campagna (Informatore Agrario) con la quale pubblico articoli e curo rubriche inerenti il giardino.

La zona in cui abita e lavora è un'area “amica del verde” o pensa che si dovrebbe fare ancora tanto per avvicinare la gente alle piante e al mondo del verde?

Mi duole dirlo, ma il verde a Pistoia versa in condizioni deprecabili. Per essere conosciuta come la “città delle piante” dovrebbe essere perfetto, ma non è affatto così. Visto da una “trapiantata” da altra regione si nota moltissimo lo scollamento fra il mondo cittadino di Pistoia e il mondo rurale dei vivai, che pure rappresenta per la città la principale fonte di introito. Non per niente i vivaisti vengono definiti dagli stessi cittadini pistoiesi come “piantaioli” e il termine non ha un’accezione positiva. Designa un gruppo appartenente al mondo rurale, quindi lontano da chi vive nella civiltà dell’urbe, in altri termini un “villano”.

Nel 2017 Pistoia sarà capitale europea della cultura. Mi auguro che sia di stimolo per un grosso miglioramento futuro in questo senso.

La sua famiglia o gli amici condividono con lei la passione per il verde?

Molti di loro sì, anche se non lo fanno di mestiere. Ho diversi amici fra colleghi di lavoro o di università con i quali condivido la passione, mentre il mio compagno e la mia famiglia si occupano di tutt’altro. Rispettano e sostengono le mie scelte comunque, e, se possono, mi aiutano. Mia sorella ad esempio, ragioniera contabile, mi sta facendo da spalla durante le mostre tutte le volte che può.. e credo che la cosa la diverta anche parecchio, fatica a parte; il mio compagno invece, che non distingue un pino da una quercia, rispetta il mio lavoro, anche se questo vuol dire sacrificare tempo per noi e riesce spesso a farmi vedere le cose da una diversa prospettiva, alla quale io non sarei mai arrivata. E anche questo è di non poco supporto nel mio percorso.

 

 

 

 

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Questo articolo è stato scritto da Redazione

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