Orchidea Cattleya
Le Cattleya sono in natura tutte piante epifite, cioè piante che, nell’habitat naturale, crescono su alberi e rocce. I loro fusti variano in altezza da 5 cm a circa 1 metro. Hanno foglie coriacee, spesse, in numero che varia da uno a tre, portate alla cima del fusto e questo è avvolto da sottili guaine che appassiscono ad ogni stagione. Le parti fiorali sono indipendenti e distese, i sepali simili tra loro e i petali più ampi. La colonna è liscia, non fornita di ali e porta quattro pollinia, due per ciascuno dei due sacchi dell’antera. La maggior parte delle specie sono deliziosamente profumate. Ma è meglio procedere con ordine e tornare indietro nel tempo laddove la storia ha avuto inizio.
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Le origini
Molte cose straordinarie furono scoperte per caso e fu per caso che la prima pianta di Cattleya raggiunse l’Europa. La storia narra che nel 1818 un certo signor Swainson, collezionista di muschi e licheni in Brasile, raccolse alcune piante poderose e dalle foglie coriacee per legarle attorno ad alcuni esemplari della sua collezione, che doveva spedire in Europa. Quando questo materiale arrivò, William Cattley, un orticoltore di grande fama, si rese conto che quelle strane piante erano qualcosa di inconsueto e così le prese in considerazione. La prima fiorì nel 1824 e fu studiata da Lindley, un celebre botanico, il quale affermò che apparteneva ad un genere assolutamente nuovo per la scienza. Lindley compilò una descrizione della pianta e assegnò al nuovo genere il nome di Cattleya, in omaggio al fortunato possessore. L’esemplare fu chiamato Cattleya labiata autumnalis, per il suo stupendo labello e per la fioritura, che cadeva d’autunno.
Nei decenni a seguire furono scoperte molte altre Cattleya: la Cattleya mossiae nel 1838, la Cattleya gigas nel 1848, la Cattleya trianaei nel 1856, e così via. Pochi esemplari furono tuttavia importati e molti non sopravvissero al lungo viaggio.
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Le Cattleya erano tenute in gran conto dagli orticoltori e venivano acquistate ad altissimo prezzo dai ricchi collezionisti, ma la loro futura importanza commerciale non ebbe inizio che nel 1891. In quell’anno furono trovate moltissime Cattleya labiata e il loro acquisto da parte di due diverse ditte, una inglese e una belga, portò grande movimento nel mondo del vivaismo delle orchidee. Vi furono feroci discussioni sull’autenticità della Cattleya labiata autumnalis, e naturalmente ciascuna delle due ditte sperava di rimanere sola a possedere le ambite orchidee. Alla fine fu deciso che tutte erano davvero le preziose Cattleya labiata ma l’esistenza di tanti esemplari della stessa specie fece crollare il mercato. La facilità delle comunicazioni con le navi a vapore fece accorrere in sud America uno sciame di collezionisti, i quali rinviarono in Europa, agli importatori dei vari paesi, centinaia di migliaia di piante di Cattleya. Le piante vennero vendute all’asta a coltivatori professionisti e dilettanti. Mentre una dopo l’altra centinaia di tipi di Cattleya venivano scoperti e classificati dai botanici del tempo, molti di questi fiori apparvero tanto simili alla Cattleya labiata da essere considerati varietà di questa specie, piuttosto che specie diverse. Le innumerevoli varietà di C. labiata furono fin dall’inizio le preferite per via dei loro fiori grandi e vistosi: dalla loro scoperta fino agli anni Settanta del secolo scorso sono rimaste le orchidee che hanno attirato maggiormente l’attenzione.
Cattleya unifoliata e Cattleya bifoliata
Le Cattleya, sulla base di una loro peculiare caratteristica morfologica, vengono raggruppate in due gruppi distinti: il gruppo delle Cattleya unifoliata e il gruppo delle Cattleya bifoliata.
- Il primo gruppo, per similarità con la specie che lo ha creato, è anche definito gruppo delle Cattleya labiata. Posseggono tutte una sola foglia per pseudobulbo e recano solitamente fiori solitari di discrete dimensioni.
- L’altro gruppo delle Cattleya è quello delle bifoliata, con due, talvolta tre foglie per ogni fusto.
Si tratta di piante molto eleganti e graziose, piuttosto diverse dalle Cattleya labiata. I fiori sono più piccoli, con le parti fiorali più strette. In alcuni tipi i fiori sono molto cerosi e appaiono in gruppi da cinque a venti per ogni stelo.
Per comodità attualmente le innumerevoli varietà di C. labiata vengono trattate come specie separate, ma la C. mossiae fu inizialmente chiamata Cattleya labiata var. mossiae, la C. trianaei fu chiamata C. labiata var. trianaei e così via per tutte le altre appartenenti al gruppo come C. dowiana, C. eldorado, C. gaskelliana, C. lawrenciana,C. lueddemanniana, C. mendelii, C. percivaliana, C. rex, C. schroedere, C. warneri, C. warscewiczii. Tutte queste specie molto simili vengono ora raggruppate nel medesimo gruppo delle Cattleya labiata come specie differenti.
Le radici della Cattleya
Il fascino di tutte le orchidee, non escluse le Cattleya, inizia dalle radici per il loro impressionante comportamento. A volte esse penetrano nella poca lettiera che si forma nell’incavo di un ramo, altre volte si saldano tenacemente ai nudi tronchi degli alberi. Nelle piante la funzione delle radici è quella di ancorare la pianta al proprio ambiente, assorbire l’acqua e i sali minerali e accumulare sostanze di riserva. Nel genere Cattleya, trattandosi di orchidee epifite, le radici sono solitamente grosse, carnose, rivestite di una crosta dura e spugnosa detta velamen, elemento protettivo capace di captare e trattenere l’umidità atmosferica, ma anche di saldare permanentemente la radice alla corteccia dell’albero. Un elemento interessante delle radici di orchidea è il fatto che possono anche parzialmente svolgere azione fotosintetica sia all’apice, che, infatti, è verde, che su tutta la superficie.
Modello di sviluppo simpodiale
Così come molte altre orchidee, il genere Cattleya ha ideato un modello di sviluppo di tipo simpodiale, che significa letteralmente “a più piedi”. Esso consiste in un rizoma, ossia un fusto serpeggiante in continua crescita che, con perfetta soluzione di continuità, si proietta all’infinito in tutta la sua lunghezza esternando le proprie radici che ancorano saldamente la pianta al suolo o alla corteccia degli alberi.
Seguendo l’alternarsi delle stagioni, a scadenze periodiche – per esempio annuali – il rizoma si allunga dall’apice o lateralmente, sviluppando fusti carnosi che successivamente si ingrossano per assumere l’aspetto piatto o cilindrico, piccolo, grande o enorme a seconda della specie. Questa nuova struttura funziona come preziosa riserva di sostanze nutritive e di acqua, utile per far fronte ai lunghi periodi di siccità. Essa prende propriamente il nome di “pseudobulbo”, in quanto, pur assomigliando di molto ai bulbi, ha funzione e struttura nettamente diversa da questi ultimi. Per maggior sicurezza, alla base degli pseudobulbi la pianta sviluppa anche degli “occhi” che rimangono in fase dormiente a tempo indeterminato per poi riprendere il normale ciclo vitale dando origine ad un nuovo getto se, per qualche ragione, uno pseudobulbo dovesse venire a mancare. Infine, all’apice dello pseudobulbo spuntano una o più foglie, seguite quindi dal bottone e dallo stelo fiorale. Le Cattleya, gli Oncidium, gli Odontoglossum sono i generi di orchidee epifite che hanno assunto questo comportamento.
Modello di sviluppo monopodiale
Solamente a titolo di paragone forniamo qui alcuni elementi per distinguere un altro modello di sviluppo che non caratterizza il genere Cattleya, ma bensì altri generi di Orchidee come Phalaenopsis e Vanda. Questo modello verrà affrontato qui solo a cenni, in quanto riguarda generi di orchidea che non sono oggetto di questa trattazione. Il modello di sviluppo monopodiale è un’altra scelta di comportamento per crescere e svilupparsi, totalmente diversa dalla precedente, è stata fatta da un gruppo esclusivo di orchidee epifite che non progrediscono in lunghezza bensì in altezza, dando vita ad un fusto che, potenzialmente, è capace di allungarsi all’infinito. Questo tipo di crescita è definito monopodiale (“un solo piede”) in quanto le piante non presentano alcun rizoma ma radici sulle quali è saldato direttamente il fusto della pianta. A mano a mano che il fusto procede, dai nodi spuntano le radici avventizie che fissano la pianta alla corteccia dell’albero ospitante, mentre il più delle volte dall’ascella delle foglie che si susseguono lungo il fusto nascono le infiorescenze. Con questo sistema le piante, che a volte all’aspetto sembrano non avere né un inizio né una fine, possono aprirsi una propria via nel fitto delle foreste per raggiungere la luce.
Simbiosi micorrizica
Verso la fine del secolo scorso venne scoperto un rapporto fra l’orchidea e un fungo, fenomeno conosciuto come simbiosi micorrizica. Tale fenomeno è da ascriversi come comune a tutte le rappresentanti della famiglia delle Orchidaceae. Tale scoperta è da riferirsi agli studi di Noel Bernard, vincitore di un concorso per l’insegnamento delle scienze naturali nel 1898 e professore alla Scuola Normale Superiore. Un autentico colpo di fortuna gli permise di scoprire un elemento importantissimo nell’ambito dell’orchidologia: durante una passeggiata poco lontano dalla caserma a cui era assegnato, egli trovò alcune centinaia di semi di Neottia in procinto di germinare. Ne prelevò numerosi esemplari scoprendo il processo di germinazione e simbiosi, i cui primi fondamenti erano stati definiti da Link. La differenza fondamentale tra le orchidee e le altre piante è la presenza costante di funghi nelle radici. Noel Bernard esaminando i semi al microscopio non rilevò la presenza di funghi. Essi tuttavia si manifestano nelle plantule. Venne quindi formulata l’ipotesi che i semi di orchidea erano invasi dal fungo durante la germinazione nel terreno. Nel concludere che nessuna orchidea sfugge a tale fenomeno, ne deduce che l’unione tra fungo e seme è necessaria per lo sviluppo dell’orchidea stessa. Bernard riuscì ad isolare alcuni ceppi di funghi, dopo averli estratti dalle cellule delle orchidee, e in seguito a una coltivazione in un ambiente sterile su uno strato nutritivo gelificato, condusse parallelamente vari esperimenti:
- nella coltura di semi senza funghi egli notò che i semi non germinavano, gli embrioni diventano verdi ma lo sviluppo restava bloccato per vari mesi;
- nella coltura di semi con ceppi di funghi egli notò che il seme dell’orchidea si sviluppava con facilità e regolarmente.
La simbiosi micorrizica è un rapporto di simbiosi mutualistica tra le radici della pianta e le ife del fungo. Le radici vivono in associazione con un fungo col quale sviluppano un interscambio di elementi nutritivi. Tale rapporto porta un mutuo vantaggio ad entrambi i componenti, il micobionte (fungo) e il fitobionte (pianta). Le ife fungine, con la loro crescita praticamente illimitata aumentano di gran lunga la superficie assorbente delle radici apportando minerali e altri elementi nutritivi alla pianta. Viceversa, quest’ultima cede al fungo zuccheri ed elaborati fotosintetici. Tutte le orchidee in natura sono micorrizate, ossia vivono inserite in questo rapporto che si instaura già all’interno del seme.
I semi delle orchidee sono piccolissimi, tanto che sembrano polvere, e questa caratteristica facilita la loro dispersione al minimo alito di vento; per contro possiedono una scarsa riserva nutritiva per alimentare l’embrione. Sono le ife del fungo ad entrare nell’embrione, avvolgerlo, stimolarlo e favorire la germinazione, sono loro ad apportare le sostanze nutritive di cui ha bisogno; poi a mano a mano che la fase progredisce le ife vengono confinate sempre di più nell’apparato radicale. I semi non possono germinare al di fuori di tale contesto e ciò fa della simbiosi micorrizica un fenomeno essenziale per lo sviluppo e crescita delle orchidee. Questo fenomeno ha rappresentato uno degli ostacoli più difficili incontrati dagli orchidofili nel passato, quando si accingevano a coltivare i semi senza ottenere alcun risultato proprio per la mancanza dell’allora sconosciuto fungo simbionte, circostanza che favorì il sorgere di innumerevoli leggende sul sistema scelto dalle orchidee per nascere.
Il fiore della Cattleya
Nell’immaginazione di ciascuno di noi l’orchidea è sinonima di fiore, poiché è l’elemento di gran lunga più appariscente nell’intera pianta, sul quale si concentra l’attenzione assoluta dell’osservatore. Quelli delle orchidee sono, tra tutti i fiori, quelli che hanno subìto le maggiori trasformazioni nella forma; è considerata una delle piante che ha raggiunto uno dei maggiori livelli evolutivi in quanto a specializzazione del fiore e tecniche riproduttive. La loro bizzarria meravigliò lo stesso Charles Darwin che scrive circa la complessità di questi fiori: “Secondo le osservazioni di diversi botanici e secondo le mie proprie, molte altre piante presentano indubbiamente adattamenti analoghi e assai perfetti, ma sembra che essi siano realmente più numerosi e perfetti nelle orchidee che nella massima parte delle altre piante”.
Per attirare gli animali impollinatori si sono trasformati in trappole, imitano la forma della femmina di un insetto oppure emanano il loro profumo durante la stagione riproduttiva dell’insetto o ancora creano sacche o speroni ricchi di secrezioni zuccherine. Nel genere Cattleya, le parti fiorali sono indipendenti e distese, i sepali simili tra loro e i petali più ampi. Il labello è costituito abitualmente da 3 parti: due lobi laterali che si arrotolano sulla colonna e un lobo centrale disteso. In alcuni tipi il lobo mediano è assai diverso da quelli laterali; questi sono spesso più carnosi, specialmente nei tipi che appartengono al gruppo delle bifoliata.
In altri, i lobi laterali continuano il lobo centrale, come nel gruppo labiata. La colonna è liscia, non fornita di ali e porta 4 pollinia, due per ciascuno dei due sacchi dell’antera. Il fiore di Cattleya, che è quanto di più vario si possa immaginare, tuttavia si costruisce intorno ad una struttura comune a tutta la famiglia, articolata in tre sezioni fondamentali. Il verticillo esterno è costituito da tre sepali di colore e forme simili tra di loro. Il verticillo interno è costituito da tre petali: due simili per forma e colore e uno diverso. Il terzo petalo di forma e colore autonomi è detto labello e ha il compito fondamentale di guidare gli impollinatori verso gli organi sessuali. I suoi colori spesso sono appariscenti e la sua forma è a volte piuttosto singolare. Gli organi sessuali, stami e pistillo, risultano fusi in un unico corpo detto ginostemio o colonna. La colonna presenta al suo apice un cappuccio mobile detto scutello che protegge i granuli pollinici riuniti in masse dette pollinia in numero di 2, 4, 6 o 8. I pollinia sono posti in un alloggiamento dotato di una struttura detta rostello che impedisce il contatto tra masse polliniche e cavità stigmatica. I pollinia sono collegati tramite un filamento detto caudicola ad un disco adesivo detto viscidium.
Orchidea Cattleya - Caratteristiche e Coltivazione
Le Cattleya sono piante robuste, che si possono coltivare in casa con successo e soddisfazione a patto di attenersi a poche e semplici regole che si possono così sintetizzare: molta luce e poca acqua.
Date alle piante un’esposizione molto luminosa, vicino a una finestra ben esposta in inverno e all’aperto durante la bella stagione, in un angolo dove ricevano il sole del mattino o del tardo pomeriggio. Il colore delle foglie è un buon indicatore della luminosità, foglie verde chiaro significa che la luce è corretta e la pianta sarà fiorifera, robusta e resistente alle malattie, se invece le foglie sono verde scuro significa che la luce è insufficiente, la fioritura sarà scarsa o assente e la pianta debole e facile preda di ogni tipo di problemi e malattie.
Da buone piante epifite, le Cattleya hanno radici aeree e per questa ragione si coltivano in un composto a base di corteccia che permette una buona aerazione dell’apparato radicale. L’importante è bagnare poco: la maggior parte delle orchidee che periscono nelle mani dei principianti muoiono annegate per le troppe annaffiature, bagnate dunque, solo quando siete sicuri che le piante siano certamente asciutte: è comunque preferibile avere piante più asciutte che troppo bagnate.
Se mettete un sottovaso sotto le vostre piante, riempitelo di sassolini o argilla espansa in modo che il vaso non venga a contatto con l’eventuale acqua nel sottovaso.
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