I piccoli frutti: la coltivazione dei frutti di bosco
Introduzione generale a lamponi, ribes, mirtilli, rovi e uva spina
Lamponi, ribes, mirtilli, rovi e uva spina (generi Rubus, Ribes e Vaccinium) sono i "piccoli frutti". Ciò che accomuna in un’unica denominazione questi frutti di piante così diverse è innanzi tutto la loro caratteristica di avere dimensioni ridotte rispetto alla maggior parte dei frutti commestibili. In realtà questa denominazione è spesso anche usata per indicare che i piccoli frutti, o frutti minori, hanno un’importanza commerciale limitata rispetto ad altri frutti quali mele e pere, ecc.
Solo recentemente è stata posta maggiore attenzione verso le colture specializzate di piccoli frutti: in passato l'approvvigionamento del mercato avveniva solo con la raccolta da piante spontanee.
Vi è una profonda differenza d’organizzazione del lavoro tra la raccolta dalle piante spontanee nei boschi e le coltivazioni specialistiche, che devono a tutti gli effetti essere considerate vere e proprie attività agricole e come tali meritevoli di un adeguato approfondimento delle conoscenze tecnico-agronomiche, di conservazione e trasformazione e di marketing.
Per sgomberare il campo da possibili fraintendimenti da parte del consumatore, fortunatamente sempre meno frequenti, è importante sapere che i piccoli frutti coltivati, seppure simili per tanti aspetti ai piccoli frutti spontanei, non sono le stesse piante messe in coltivazione: spesso sono selezioni e ibridi provenienti da altri areali e oltreoceano e alcune sono persino specie botaniche diverse. Anche da un punto di vista organolettico il frutto delle piante coltivate può differire in misura più o meno marcata dai frutti selvatici.
L'interesse verso i piccoli frutti è andato via crescendo nel tempo.
Il consumatore gradisce l’immagine di genuinità legata ai prodotti “del bosco” e l’elevato valore nutrizionale. I piccoli frutti contengono, infatti, minerali e vitamine, in particolare A e C e sono un concentrato di polifenoli, molecole considerate capaci di proteggere dall’attacco dei radicali liberi, ritenuti tra i principali responsabili dell’invecchiamento precoce delle cellule.
Il produttore ne apprezza l’adattabilità e la facilità di coltivazione delle varie specie e la redditività anche su superfici limitate. Sono sufficienti superfici aziendali di poche migliaia di metri quadri, ridotti investimenti per l'impianto e macchine agricole di limitata potenza; i piccoli frutti hanno limitate esigenze in fatto di cure colturali e richiedono pochi, se non nulli, interventi antiparassitari. Quest'ultimo aspetto favorisce l'immagine di prodotti ''naturali e puliti'', già insito per altro nel concetto di "frutto di bosco" spesso associato al “piccolo frutto”. Per questi motivi si riscontra un crescente interesse ai piccoli frutti nelle produzioni biologiche e nel contesto del nuovo concetto di agricoltura multifunzionale.
La realtà di piccole aziende a conduzione familiare, spesso part-time, può trovare nei piccoli frutti un’integrazione al reddito, nonché la possibilità di impiegare la manodopera familiare non specializzata particolarmente disponibile nel periodo estivo, quando si verifica la raccolta.
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Diffusione della coltivazione dei piccoli frutti
Le condizioni pedoclimatiche e le strutture produttive e sociali rispondenti ai requisiti per la coltivazione dei piccoli frutti sussistono in particolare nelle zone pedemontane, ma ampi spazi si aprono oggi nelle fasce periurbane e nell’agricoltura urbana.
Al “Global Berry Congress” di Amsterdam, il convegno mondiale dedicato al mercato dei piccoli frutti, un paio di anni venivano presentati dati interessanti che mostravano un mercato fortemente in crescita per i piccoli frutti in Europa: circa +120% per il consumo di mirtilli, +60% per i lamponi e +35% per le fragile, con una domanda ancora in crescita per i prossimi 5 anni almeno.
In Italia il consumo annuo di piccoli frutti si attesta solo intorno a 100 g pro-capite e solo il 5-6% della popolazione italiana consuma piccoli frutti. Questo ridotto consumo è probabilmente dovuto alla scarsa conoscenza delle caratteristiche organolettiche del prodotto e alla contemporanea presenza sul mercato di altre tipologie frutta a costi sensibilmente più bassi.
Questa limitata conoscenza da parte del consumatore è un indice delle possibilità di sviluppo del consumo.
Le produzioni nazionali sono insufficienti a soddisfare la richiesta del mercato interno malgrado nel nostro Paese esistano i presupposti per una rapida estensione di tutte le colture a frutto piccolo.
A oggi e si è assistito alla diffusione solo di alcuni dei generi citati e in areali limitati.
Un primo picco nella coltivazione dei piccoli frutti in Italia è avvenuto negli anni ’90, quando la superficie investita è passata in pochi anni da 350 ha, di cui 170 ha di mirtillo (ISMEA e ISTAT 1991) a quasi 500 ha (fonti varie, 1997) per una produzione totale di 3030 t.
Difficile comunque rimane il reperimento dei dati di superficie e di produzione. Anche dati ISTAT più recenti (2006, 2007, 2008, 2009) non sono disponibili per tutte le singole specie e riguardano il totale produttivo nazionale. Inoltre alcuni frutti, come ad esempio il mirtillo, non vengono conteggiati singolarmente ma inseriti nella voce “altre bacche”, il che complica ulteriormente la lettura di questi dati.
I dati FAO relativi al 2010 indicano una produzione totale di lamponi di 1800 tonnellate coltivati su 350 ettari mentre quella di mirtilli è stata di 1500 tonnellate per 200 ettari.
Gli operatori del settore stimano ad oggi la produzione italiana di mirtilli è pari a circa 3000 tonnellate complessive, di cui circa un terzo in Trentino Alto Adige e 20-25% in Piemonte, con raddoppio delle quantità prodotte negli ultimi 5 anni.
Questo secondo picco delle superfici investite per la produzione di mirtillo è stato determinato più che altro dalla crescita a due cifre delle esportazioni verso il mercato britannico, ma sono in espansione anche i mercati dell’Europa continentale (Germania in testa), della Scandinavia e di alcune destinazioni oltremare.
Un ultimo dato di tendenza sempre relativo al mirtillo.
Venti anni fa il consumo negli USA era analogo a quello di oggi in Europa, che si stima sia di circa 70 g annuo pro-capite: oggi ogni statunitense consuma mediamente quasi 1.100 g di mirtillo.
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